C’è molto più di quello che dicono

«Eravamo tutti vivi» di Claudia Grendene

Prima di leggere questo romanzo ne ho sentito parlare da parecchie persone. Ho letto commenti. Ho intercettato intenti. Sono stata ad ascoltare la presentazione…
Perché dirlo? Perché tutto ciò che è stato evidenziato è risultato essere ciò che a me meno ha interessato. Tranne la costruzione a ritroso, sebbene io di grandi sogni e progetti mica ne ho trovati, anzi a tratti mi è parso persino che meglio di come sono diventati i personaggi del libro non potevano aspirare.

“Eravamo tutti vivi” di Claudia Grendene srotola la storia personale (in relazione a una ristretta cerchia di amici) di sei ex compagni di scuola più uno. Il titolo stesso punta sulla coralità, ed è stato più volte menzionato come un romanzo che parla di una generazione. Di fatto le storie narrate in linea di massima rientrano in un’ordinaria quotidianità un po’ borghese, di quelle fatte di tradimenti, fatiche (le solite di tutti), appuntamenti, incontri, qualche segreto, amori e aspirazioni, dubbi su che vestito mettersi o impegni come le consegne da lasciare all’aiuto domestico (quale merendina preparare ai pupi?)… insomma cose che a me – a dirla tutta – interessa poco leggere in un romanzo; abbiate pazienza: è solo una questione di gusti! Il 90 % di chi conosco, nei libri, cerca invece proprio questo tipo di quotidianità anche un po’ “rassicurante” perché famigliare. Molti, in breve, ci si possono riconoscere. Cosa che non è capitata a me che, invece, sin dal primo capitolo (dove vengono messi in scena tutti i protagonisti confondendo quei lettori di poca memoria, come sono io) ho subìto anche un altro tipo di spaesamento: non sono di Padova; non ho mai frequentato l’Università; non conosco quei riti; non ho mai avuto amicizie così strette da alternare i morosi; non ho mai scopato in giro a caso, all’occasione; non ho ricordi personali legati a nulla di ciò che viene descritto (se non il “non sentirsi parte del mondo”), per cui il mio livello di immedesimazione è stato pari quasi a zero anche a “causa” dell’iniziale veloce susseguirsi di immagini; ritmo positivo nel resto del testo, grazie alla caratteristica scrittura di Claudia Grendene: piacevole, immediata e scorrevole.

E dunque? 
Dunque c’è molto di più. C’è Max. Impossibile non lasciarsi totalmente conquistare dal “+1”, dal personaggio fuori dal coro. Potrei leggere uno spin-off del suo diario per altre seicento pagine senza distaccarmi un solo secondo. Per me “Eravamo tutti vivi” è “soltanto” la storia di Max; il sole, un po’ bruciacchiato, ma portante. Gli altri sono pianeti della sua costellazione. Utili a “capire” in parte le vicende di questo personaggio; utili a smorzarne l’effetto accentratore di un componente a cui pare proprio non interessare per niente diventare protagonista; utili ad ancorare il lettore a una realtà appiattita dalla superficialità, contrapponendo verità altre e più disturbanti; utili a mostrare il formicolare del mondo che si distrae dai singoli… in somma: la storia è di Max, ma anche le altre sono utili. 
Aggiungo che a mio parere è proprio con Max che Claudia Grendene si fa davvero autrice: se da una parte i vari episodi sono raccontati con uno stile più classico, nel dare voce a questo personaggio l’autrice ha scelto una forma diversa (il diario) che l’ha costretta a mettersi alla prova con una voce narrante “non sua” e, quanto è vero che mi è piaciuto un sacco, ci è riuscita alla grande.
Per cui direi che a lettura conclusa questo romanzo è un’opera compiuta e interessante non perché generazionale (che ora mi pare limitante), ma esattamente per il contrario: perché è reso universale da uno sguardo introspettivo sulle cose degli uomini, che non hanno davvero un tempo.

Una nota di super merito a Marsilio: è l’unico editore che – tre libri su tre letti di recente con il suo marchio,- rispetto agli altri, produce libri nei quali non riesco a trovare nemmeno un refusino (pare grazie alla bravura di certo: Claudio Panzavolta).

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