Un trattato sul desiderio/vizio

«La coscienza di Zeno» e «Continuazioni» di Italo Svevo

A tratti divertente (soprattutto per paradosso), in altri casi malinconico, spesso frustrante, come nelle normali cose umane fatte di decisioni sbagliate, debolezze e pose convenzionali. Ma anche di libero arbitrio, godimenti e variazione di esperienze. Vita e morte. Parlo de “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo. La normalità riprodotta sulla carta. Dunque? Dove sta l’interesse di leggere una cosa così? Per quello che mi riguarda sta tutto nel coraggio della consapevolezza. Quasi a dire: sì, facciamo quello che vogliamo ma facciamolo assumendocene tutte le responsabilità. O almeno senza mentire a noi stessi. Da qui la nota e costante autoanalisi agita dall’io narrante.

LA TRAMA (spoilero!)
Zeno non riesce a smettere di fumare. Neanche quando gli muore il padre. Resterà l’ombra di una sberla che quest’ultimo gli rifila (per sbaglio?) prima di morire. Una specie di monito a non fare il cazzone, ciò che invece farà.
Non riesce a sposare la donna che ama per cui sposa sua sorella. Non l’ama anche se la rispetta eppur tuttavia si fa un’amante che poi lo molla per rispettare sua moglie, lei, non lui. Il tizio che si sposa quella di cui era innamorato la tradisce alla stessa maniera, e pure di più, portando all’esaurimento la moglie, che resta in ogni caso amata e desiderata da Zeno, uno degli esseri più superficiali che potreste avere la sfiga di incontrare (non che gli altri siano eroi). Infine, cerca di rendersi utile nell’ufficio di quest’altro genialaccio leccatore di sottane, ma fa più casini che altro. Poi scoppia la guerra che rende tutto vano, piccole e grandi gesta in modo indifferente. Circa, eh

OLTRELATRAMA
Vorrei dire tre cose: 1. Che è un libro maschile; 2. Che non sono d’accordo sul fatto che sia un libro sull’inettitudine; 3. Che ha uno stile interessante; 4. Che forse ho capito come capire chi non lo ha letto.

1. So che ora inorridiranno in molti addetti ai lavori ma lo dico comunque: è un libro molto maschile. O maschio. E, sì, di certo perché il narratore (l’io narrante, non l’autore del libro) è “maschio” (pur non essendo molto uomo 😉 ).

2. Dicono sia insipido e noioso come il suo personaggio inetto. Così dicono quelli che non lo amano, ma in un certo senso così dicono pure i critici. L’altro giorno, infatti, mentre cercavo di capire attraverso Google se “Continuazioni” fosse una “reale” continuazione del romanzo “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, sono incappata in una serie di “lezioni” (anche molto interessanti) su questo secondo libro (mentre, no, non ho trovato praticamente niente su “Continuazioni”, tranne un trattatello sulle strutture della temporalità che lo cita qua e là come “conferme” di cose già dette nella “Coscienza” di cui parlerò a tempo debito). Bene, la maggior parte delle pagine aperte parla di Freud, sì, dell’autoanalisi, sì, ma anche di altre figure come Darwin, il Marxismo, Nietzsche, Schopenhauer e la teoria dell’inetto, soprattutto quest’ultima, e via elencando. Ebbene, non per fare il Bastian contrario ma per quel che mi riguarda non è un libro sull’inettitudine, ma esattamente il contrario: è un trattato sulla volontà, quella di soddisfare a tutti o costi i propri desideri che si trasformano a tratti persino in vizio. Semplicemente bisogna intendersi su quali siano i compiti da svolgere, le cose da fare nella vita: quelle che vuole, che detta la società? O quelle individuali? Perché, sì, è vero: Zeno è inetto verso i doveri imposti dal buon senso e dal vivere comune, ma per scelta volontaria… lui sceglie di non farsi imporre compiti ma di attribuirseli da solo: sceglie così di sposarne un’altra anche senza amarla, sceglie di tradire, sceglie di fare il cazzone… e persino sceglie di continuare a fumare: questo un quanto simbolo forte è infatti rimarcato quasi a indicare la via della lettura. Il fumo è in fondo il vizio per eccellenza. (O almeno uno dei principali, via). Zeno è un personaggio così superficiale da non essere nemmeno in grado di soffrire (non soffre mai davvero: tranne in un bel racconto delle “Continuazioni” che si intitola “Le confessioni del vegliardo”, qui raggiunge anche una profondità molto più interessante e dolorosa); in compenso fa soffrire gli altri anche se non per scelta sua, semmai per scelta loro.

3. Leggendo questo libro si rischia fortemente di assimilare il modo di coniugare il femminile e/o maschile dei participi passati “al contrario”… e niente, comincia a piacermi.

4. Ho notato che chiunque non abbia letto il Don Chisciotte quando se ne parla evoca sempre e solo i famosissimi mulini a vento, che nell’economia del romanzo che conta un migliaio di pagine è un evento (il primo, concordo, ma insomma) di forse mezza pagina. Ad esempio a me viene in mentre il gregge e il colapasta in testa; e le botte alla locanda; e le chiacchierate con il saggio e savio Sancho… Ecco, credo di avere ora notato che chi invece non ha letto tutto il libro della coscienza di Zeno citino lo smettere di fumare come fossero i mulini a vento. Io quasi non me ne ricordavo più prima di scrivere questa nota, non avessi letto quella di un amico che ammettendo di non averlo letto tutto parla infatti solo delle sigarette… (circa).

IN CONCLUSIONE
È forse più accattivante la prima parte. Commovente la morte del padre. “Divertente” la scelta della donna per ripiego. Un po’ noiosetta la parte del lavoro, ma utile,… Per il resto ha una bella cadenza, una voce interessante, via

S’è detto a oltranza che è un libro incentrato sull’autoanalisi del personaggio, da qui una considerazione d’interesse sul fatto che per quanto Zeno si autoanalisi il suo livello di profondità interiore è – per quanto mi riguarda – pari al nulla: una coscienza così piana (orizzontale) potrebbe in effetti annoiare, oppure far riflettere…

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