Enola Holmes e Lidia Poët, paladine della giustizia

I film «Enola Holmes I e II» e la serie «La legge secondo Lidia Poët»

«Perché in un film del genere, di stampo femminista, si rende necessaria la profusione di tette e natiche? Non lo domandiamo per senso del pudore, non fraintendeteci: non ci infastidisce il nudo in sé ma la strumentalizzazione dello stesso, il continuare a renderlo oggetto di attenzione morbosa (eccessiva in quanto non funzionale alla storia narrata)».

Ho guardato i film «Enola Holmes I e II» e la serie «La legge secondo Lidia Poët», li ho messi a confronto e ne ho scritto sia su «Azione» sia su Cinemany.

La versione integrale del testo su «Azione» – per chi desidera leggerlo ma non ha accesso al cartaceo – si trova online (non richiede iscrizioni perché è un settimanale d’approfondimento gratuito).

Per leggere invece l’approfondimento su Cinemany (di cui riportiamo qui di seguito le immagini delle pagine) occorre sottoscrivere un abbonamento alla rivista e chiedere come recuperare la copia mancante. (Ringrazio Nicola M.)

Le infinite possibilità di senso del passato

«Ferita – Giovanna d’Arco, anno 1971» di Sergej Roic

Sulla versione cartacea della bella rivista Cinemany (www.cinemany.ch), uscita in dicembre, è stata pubblicata la mia recensione all’ultimo romanzo di Sergio Roic; ringrazio Nick.

Nell’ultimo romanzo di Sergej Roić, Feríta Giovanna d’Arco, anno 1971, non solo un’ucronia alla Jodorowsky ma anche un trattato filosofico sull’arte.

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Postmoderno, labirintico, citazionista, metaletterario…

«Finzioni» di Jorge Luis Borges

Postmoderno, labirintico, citazionista, metaletterario, per alcuni persino politico e religioso.

«Buckley non crede in Dio, ma vuole dimostrare al Dio non esistente che gli uomini mortali sono capaci di concepire un mondo».

In effetti, «Finzioni» di Jorge Luis Borges (per la traduzione di Franco Lucentini) contiene mondi interi in poche pagine, a dire il vero, che compongono non un romanzo ma nemmeno una vera raccolta di racconti, bensì un libro dei libri, che in recensioni più autorevoli talvolta definiscono palinsesto. Io non so molto che cosa aggiungere al prologo dell’autore e alla ricca postfazione di Antonio Melis, «Un labirinto che conduce al sud», però provo a dirne passando attraverso l’esperienza di lettura che ne ho fatta.

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Un’autobiografia a quattro mani

«Autobiografia di Alice Toklas» di Gertrude Stein

Ho l’edizione einaudiana con la traduzione di Cesare Pavese e l’interessante e utile introduzione di Richard Bridgman. Non mi è dato a sapere il contenuto degli altri volumi, ma in questo si trova anche la cronologia della vita di Gertrude Stein dal 1864 al 1967. Diciamolo subito: mi piace come è scritto, la lingua usata. Trovo naturalmente affascinante la vita piena di incontri di queste due donne. Ma – come credo sia per tutti – a incantarmi è il gioco narrativo del falso genere: in quanto autobiografia avrebbe dovuto essere scritto da Alice Toklas, altrimenti sarebbe dovuto essere definito «biografia». Da qui il gioco narrativo. E chissà quale sia la verità: l’introduzione getta infatti altri dubbi rafforzando il gioco, come se ce ne fosse il bisogno. Così che difficilmente ci si rende conto di chi ha davvero scritto queste pagine. Essendo le due donne anche compagne di vita io non ho dubbi che inevitabilmente sia stata scritta da entrambe. Così come si conclude il ritratto che la Stein fece di Alice (chiamandola Ada): «Tremare era tutto vivere, vivere era tutto amare, una allora era l’altra» (Geography and Pays, p. 16; e Yale Collection of American Literature). Convinzione che non mi toglie comunque il gusto della lettura. Anzi: mi piace immaginare la Toklas molto più eroica di quanto non va trapelare.

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Giochi di potere e d’impotenza

«L’ultima notte di Canova» di Gabriele Dadati

Che bel romanzo romanzesco di quelli come dio comanda. C’è tutto, la tensione narrativa che ti tiene incollata, la storia con la S maiuscola, anche in certi eventi ma soprattutto nei personaggi, ci sta una serie di conflitti relazionali, che se ne potevano fare pure due di romanzi, c’è la malattia e la morte dietro la porta, o sotto il letto, fate voi, poi c’è amore e desiderio sessuale, c’è il potere e altre forme dello stesso, c’è un narratore interessante che sa sdoppiarsi narrando il narrato, c’è tutto quel che serve per far girare le pagine una dietro l’altra; e sì, le ho girate tutte e con gran gusto.

LA TRAMA

Sta morendo, il povero Canova, scultore che ebbe l’onore e l’onere di modellare il marmo su immagine dell’imperatrice Maria Luisa d’Asburgo, seconda consorte di Napoleone Bonaparte, la quale, Maria Luisa, poco a poco racconterà all’artista certi scomodi e inquietanti segreti che lo porteranno, sul letto di morte, a sentire il bisogno di confessarsi, e lo farà chiedendo al proprio fratellastro di prestargli orecchio. Circa, eh. In mezzo a questo impianto serpeggia una storia un poco losca, giochi pericolosi, intrighi incerti. Il tutto è condito da un binomio micidiale: potere e impotenza.

OLTRELATRAMA

Non ho da aggiungere molto. Mi è piaciuto – sebbene non sia il personaggio principale – soprattutto Napoleone. Ho amato tanto come Gabriele è riuscito a caratterizzare così bene tutti i personaggi. E lo ha fatto proprio tanto bene: Bonaparte è uno spettacolo! E sono stata molto contenta anche di ritrovarmi tra le mani e sotto gli occhi una narrazione “che scivola via” senza quel “peso storico” che a volte i romanzi storici rischiano di “far pesare” (scusate il bisticcio). E non per i fatti narrati, ma per la bravura che l’autore ha avuto nel narrarli creando per l’appunto una tensione narrativa tale da incuriosire il lettore pagina dopo pagina. Alla fine del libro, sono rimasta a guardarlo da fuori, rivedendo e godendo il meccanismo della storia. Per il resto, non entro nel merito dato che ho avuto modo di sentir parlare di questo libro dall’autore stesso, quando ancora non era certa la pubblicazione. Anzi, glielo voglio dire: proprio la distanza tra quel che ne dice Gabriele, e il testo, mi sorprende. Trasformare certi grumi in modo da renderli così “leggeri”, significa aver lavorato davvero tanto per digerirli prima e farli finire in quel modo lì, sulla pagina. Alzo il cappello.