«L’isola di Arturo» di Elsa Morante
Procida: un porto, un cimitero, un’ancora. Un romanzo in bianco e nero.
Sullo sfondo la stessa materia prima (un bambino, i venti di guerra, il Sud, una mezza famiglia, le tradizioni, la povertà), stessa materia, ma maneggiata in modo diverso.
Parlo de L’isola di Arturo di Elsa Morante per rapporto al suo romanzo più noto, La Storia (non lo ripeto quanto da me poco apprezzato): là, attorno a Useppe, un’adulta ha una voce bambinesca sciocca con un ingombrante tono lagnoso, qui un bambino, Artù, parla con la voce di un adulto che rispetta l’immaginario del protagonista in un’epoca altra.
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