«I miserabili» di Victor Hugo

Finite le ultime pagine, prendo una boccata d’ossigeno e provo a scrivere qualcosa di questo romanzo che è piuttosto un libro, e di cui hanno di certo già detto tutto.
So ad esempio che dovrei dire che è un “romanzo storico”, un affresco di Parigi degli anni della prima metà dell’Ottocento, e più in generale di un ventennio di guerre napoleoniche, sommosse e rivoluzioni civili della Francia, e invece dico che è il più gran bel libro d’amore mai letto (tanto che non vorrei leggerne di altri così). Anzi più che d’amore, sull’amore, di quell’amore che si può definire più divino e paterno e materno che non erotico, ma pur sempre amore, anzi Amore. Al quale fa da contraltare, sì, la guerra, la rivoluzione, l’egoismo, sì, anche la miseria, una certa crudeltà, il vizio e l’inganno, insomma, la vita, compresa quella dei singoli “contro” i sistemi, veri generatori di Miserabili. L’amore divino dell’uomo, ma anche quello più alto, che si manifesta attraverso la provvidenza, vera protagonista, quasi prima ancora dell’amore stesso. Sebbene in tutto il libro
– mi pare – essa venga assegnata a dei diavoli. Più miserabili dei miserabili, tranne in un caso: Mabeuf, il vecchio bibliofilo in rovina.