Fuga, libertà e randagismo

«L’anno dell’amore» e «Confessione di un cane a mezzogiorno» di Paul Nizon e «Paul Nizon, der Nagel im Kopf (Paul Nizon, un chiodo in testa)» di Christoph Kühn

 «Nizon può essere senza dubbi considerato, dopo Frisch e Dürrenmatt, il più grande scrittore svizzero di lingua tedesca degli ultimi cinquanta-sessant’anni. In Francia, dove vive dal 1977, è diventato famosissimo, a conferma della sua caratura internazionale, già convalidata da una ventina di premi letterari (tra i quali anche il Gran Premio della Letteratura Svizzera del 2014).

Come può, dunque, non essere conosciuto in Ticino al pari dei suoi citati colleghi? Resta un mistero anche la ragione per cui l’editoria italiana non sia stata in grado di riconoscere la forza della sua scrittura, e lo dimostra l’assenza di traduzione delle sue successive opere.»

Sono molto onorata di veder pubblicato sulla rivista cinematografica Cinemany (ediz. n. 35) il mio articolo-recensione su Paul Nizon, grande autore svizzero, poco conosciuto dai lettori italofoni, che si è raccontato nel docufilm di Christoph Kühn.

Ringrazio, perciò, il caro amico Nick.


Fuga, libertà e randagismo

Autobiografie / La letteratura dell’esistenza nelle opere di Paul Nizon, grande autore svizzero poco conosciuto dai lettori italofoni, oggi si racconta anche nel docufilm di Christoph Kühn

Manuela Mazzi 


Quando uno scrittore, come Paul Nizon, finisce sotto lo sguardo di un regista, come Christoph Kühn, in un gioco di rispecchiamenti la letteratura si trasforma in arte cinematografica.

«La vita si perde o si conquista. Io la cerco», scrive Paul Nizon nel suo romanzo più importante, L’anno dell’amore, tradotto in Italia nel 1993 da un piccolo editore, che nel frattempo ha chiuso i battenti. Sono in pochi a conoscere questo autore svizzero, oggi novantatreenne. Eppure, Nizon può essere senza dubbi considerato, dopo Frisch e Dürrenmatt, il più grande scrittore svizzero di lingua tedesca degli ultimi cinquanta-sessant’anni. In Francia, dove vive dal 1977, è diventato famosissimo, a conferma della sua caratura internazionale, già convalidata da una ventina di premi letterari (tra i quali anche il Gran Premio della Letteratura Svizzera del 2014).

Come può, dunque, non essere conosciuto in Ticino al pari dei suoi citati colleghi? Resta un mistero anche la ragione per cui l’editoria italiana non sia stata in grado di riconoscere la forza della sua scrittura, e lo dimostra l’assenza di traduzione delle sue successive opere. 

Nato a Berna, studiò storia dell’arte, si fece conoscere come autore e fu uno dei più accreditati critici della «Neue Zürcher Zeitung», si sposò e cercò di adeguarsi a quella vita che però non riuscì mai a sopportare: la Svizzera gli stava stretta, «Odiavo vivere in una città così piccola come Zurigo, dove, a ogni passeggiata, m’imbattevo in un altro scrittore (…) e così me ne andai per sempre a Parigi», lo spiega nel docufilm a lui dedicato dal regista Christoph Kühn, ticinese d’adozione. 

Il lungo documentario si intitola Paul Nizon, un chiodo in testa, e fa il verso all’omonimo titolo dell’ultima opera incompiuta dell’autore svizzero: «Mi è morta sotto la penna, e non capisco come sia potuto capitare». Dopo la prima mondiale proiettata su grande schermo nel 2020 durante la 55esima edizione delle Giornate di Soletta, è uscito quest’anno anche in Dvd con i sottotitoli in italiano. 

Il regista, Christoph Kühn, non è peraltro la prima volta che affronta questo tipo di lavoro. Altri due docufilm sono stati da lui dedicati ad altrettanti autori della scena letteraria elvetica: Alfonsina (Storni) e (Friedrich) Glauser. Entrambi considerati, da un certo punto di vista degli outsider, ben si accostano a Nizon, che pure si è sentito (anche per sua scelta) un emarginato. Non è un caso, infatti, che in Cane, romanzo successivo a L’anno dell’amore, a tratti sovrappone ben tre narratori: un cane, per l’appunto, un senza tetto, e uno scrittore. Tutti uniti dalla ricerca di una «libertà estrema».

Christoph Kühn dà dunque voce a chi sta ai margini della società, a chi vive in disparte ma può avere molto da dire per lo sguardo che riesce a posare su ciò che si tende a tacere. 

L’anno dell’amore – tanto bello da farci augurare una riedizione in italiano, chissà, magari grazie all’impegno di un editore ticinese – è un’opera autobiografica che il regista è riuscito molto bene a far riverberare sullo schermo, grazie a una strategia narrativa che permette di far rivivere il passato senza “falsificarlo”. A un certo punto, per esempio, Paul Nizon viene ripreso in quella che dovrebbe essere la sua stanza-cella, così chiamava il locale in cui trascorse i suoi primi anni parigini (nel romanzo: «Sono a Parigi, ma in questa camera stretta come una scatola, e il tempo corre via»). Non può ovviamente essere la stanza originale, dato che sono trascorsi quarant’anni d’allora. Ed è per questo che il regista tiene ad avvisare lo spettatore, il quale scopre attraverso alcune osservazioni dello stesso protagonista che si tratta di una ricostruzione: l’effetto prodotto è quello di poterci fidare totalmente dell’onestà artistica del regista. 

Sia il docufilm, sia la scrittura di Nizon sono intensi e tesi, di quella tensione non necessariamente romanzesca, in quanto c’è poca trama, ma per lo spessore emotivo, che solo certe immagini e il giusto montaggio possono creare con buona suggestione.

L’umanità che si ricava da entrambi i lavori (letterario e filmico), è data dai ricordi e dalle riflessioni che tengono in vita i protagonisti (così si potrebbe dire anche delle altre due pellicole citate).

Vecchi girati, e storiche fotografie sono così ben integrati nel documentario che li si percepiscono come compresenti alla narrazione. E allo stesso tempo, anche nel romanzo stesso si trova un sistema di immagini molto forte, che riprende il cane, la libertà, i piccioni, ma anche tanta Parigi. E poi c’è la ricerca della vita, «…questo rotolare di vita umana francese, di via parigina che piena di voci irrompe nel mio cortile».

Dalla lettura del romanzo si evince un mal di vivere tormentato, un’impazienza e una rabbia malcelati, figlie di una libertà presa con la forza, che non risolve («La vita è una grande fregatura o un caos. (…) La vera sfida era sapere come domare la realtà, artisticamente»). Si sente tutto, corpo e fatica e frustrazione e l’energia compressa, e quel voler qualcosa che non si sa… non per nulla lo stesso Nizon quando parla della propria scrittura dice che non si tratta di esistenzialismo, ma di letteratura dell’esistenza. 

A noi è parsa più che una ricerca della «cosiddetta libertà», l’esplorazione dei lati oscuri e insicuri della vita. Un esplorare che non è viaggio di scoperta, ma fuga dalla rivelazione del mistero, dalla verità, dalla realtà, da Zurigo, dove non potrà più tornare perché là non gli è rimasto niente; mentre Parigi diventa un rifugio dal quale non potrà più andare via, ma alla quale città lo scrittore non potrà mai davvero appartenere («Parigi è una città d’incomparabile bellezza, fredda e ostile. Parigi è diventata il mio destino»). Nizon, o se preferiamo, il narratore protagonista – dei romanzi e del docufilm – potrà solo attraversarla, godendola a pezzi, negli angoli di strada o risalendo quelle scale da erotico stamp alla Lucio Dalla… per poi tornare all’oscurità, come in un grembo materno nel quale sentirsi accolto.

Bibliografia e filmografia: 
Paul Nizon, L’anno dell’amore, romanzo, traduzione di Silvia Brunelli, Firenze, Marco Nardi editore, 1993;
Paul Nizon, Confessione di un cane a mezzogiorno, traduzione italiana di alcuni estratti dal romanzo Cane (mai tradotto integralmente), a cura di Mattia Mantovani, pubblicati nella rivista letteraria «Idra» (anno X, n. 20), pagine 133-168;
Christoph Kühn, Paul Nizon, der Nagel im Kopf (Paul Nizon, un chiodo in testa), docufilm, co-produzione tra Ventura Film SA e RSI Radiotelevisione Svizzera italiana, distribuito da Filmcoopi (CH), 2020

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