«L’antagonista» di Edoardo Zambelli

“Hai mai visto quella foto?”
“Sì”.
“Com’era?”
“Potente… Orribile…”
Questo è anche quello che ho pensato io man mano che avanzavo nella lettura…
Quindi? “Bello” o “brutto”? Indubbiamente un gran bel libro che però non rileggerò. Esattamente come mi capita con certi dipinti di cui posso riconoscere e persino subire la bellezza emozionale, ma che non appenderei mai sulla parete del mio salotto. Sto parlando del romanzo “L’antagonista” di Edoardo Zambelli (Laurana editore, 2016) da cui ho estratto il breve dialogo inserito in apertura di questo post.
L’inizio del libro è accattivante, poi per un bel po’ di pagine rallenta molto, quasi a voler costringere il lettore ad adagiarsi distrattamente, a lasciarsi calare in una sorta di atmosfera sospesa nella non azione, come a sussurrargli: “accomodati, guarda il mare, respira lentamente, con me sei al sicuro, non può succederti niente” e allora tu, lettore, ti lasci andare, ti apri alla narrazione, ti lasci trasportare un po’ qua e un po’ là, dentro la mente del protagonista; in fondo, che cosa vuoi che capiti? Sì, è vero, il gioco ambiguo di certe realtà multiple può disorientare e mettere un po’ in allerta, ma fa parte della coccola narrativa… dunque?
Be’, senza fare spoiler, vi dico solo una cosa: non fidatevi, non dell’autore, non del narratore, non dell’apparenza. Questo romanzo è bastardo e anche se l’autore cerca ogni tanto di farci capire che c’è dell’altro, quando ti infila dieci dita nello stomaco, passando dal cervello per finire ad aggrovigliare il tutto, riesce a sconvolgere. Io ho provato rabbia, tanta rabbia. Disgusto, no. Ma tanta tanta rabbia. Ed è questo il motivo per cui non lo rileggerò, pur complimentandomi con lo Zambelli che è riuscito a scuotermi i nervi con una storia – seppur non lineare – di certo ben riuscita nella sua azione per l’appunto sconvolgente.
Ed è questa la domanda che vorrei fargli (ma che non arriverà a destinazione dal momento che non è facilmente rintracciabile sui social): qual era la sua vera intenzione? Che cosa voleva produrre nei lettori con questo suo romanzo? Partendo dal presupposto che si scrive per gli altri e non per noi stessi, che cosa vuole comunicare con questo libro? Perché, il bisogno, la volontà di “sconvolgere”?
Consiglio la lettura di questo romanzo a chi abbia voglia di provare qualche scossone interiore. Io non ne avevo bisogno, non in questo periodo, ma chi è in cerca di un certo tipo di emozione troverà quel che cerca.
Quindi? “Bello” o “brutto”? Indubbiamente un gran bel libro, che però non rileggerò. Esattamente come mi capita con certi dipinti di cui posso riconoscere e persino subire la bellezza emozionale, ma che non appenderei mai sulla parete del mio salotto. Sto parlando del romanzo L’antagonista di Edoardo Zambelli (Laurana editore, 2016) da cui ho estratto il breve dialogo inserito in apertura di questo post.
L’inizio del libro è accattivante, poi per un bel po’ di pagine rallenta molto, quasi a voler costringere il lettore ad adagiarsi distrattamente, a lasciarsi calare in una sorta di atmosfera sospesa nella non azione, come a sussurrargli: “Accomodati, guarda il mare, respira lentamente, con me sei al sicuro, non può succederti niente” e allora tu, lettore, ti lasci andare, ti apri alla narrazione, ti lasci trasportare un po’ qua e un po’ là, dentro la mente del protagonista; in fondo, che cosa vuoi che capiti? Sì, è vero, il gioco ambiguo di certe realtà multiple può disorientare e mettere un po’ in allerta, ma fa parte della coccola narrativa… Dunque?
Be’, senza fare spoiler, vi dico solo una cosa: non fidatevi, non dell’autore, non del narratore, non dell’apparenza. Questo romanzo è bastardo e anche se l’autore cerca ogni tanto di farci capire che c’è dell’altro, quando ti infila dieci dita nello stomaco, passando dal cervello per finire ad aggrovigliare il tutto, riesce a sconvolgere. Io ho provato rabbia, tanta rabbia. Disgusto, no. Ma tanta tanta rabbia. Ed è questo il motivo per cui non lo rileggerò, pur complimentandomi con lo Zambelli che è riuscito a scuotermi i nervi con una storia – seppur non lineare – di certo ben riuscita nella sua azione per l’appunto sconvolgente.
Ed è questa la domanda che vorrei fargli (ma che non arriverà a destinazione dal momento che non è facilmente rintracciabile sui social): qual era la sua vera intenzione? Che cosa voleva produrre nei lettori con questo suo romanzo? Partendo dal presupposto che si scrive per gli altri e non per noi stessi, che cosa vuole comunicare con questo libro? Perché, il bisogno, la volontà di “sconvolgere”?
Consiglio la lettura di questo romanzo a chi abbia voglia di provare qualche scossone interiore. Io non ne avevo bisogno, non in questo periodo, ma chi è in cerca di un certo tipo di emozione troverà quel che cerca.