«La metamorfosi» di Franz Kafka

È tanto breve quanto commovente La Metamorfosi di Franz Kafka. Un racconto di grande attualità. Un’attualità che purtroppo sarà sempre più attuale.
LA TRAMA
Gregor, un giovane rappresentante che sbattendosi come un matto si prende cura dell’economia famigliare, si sveglia una mattina nel corpo di uno scarafaggio. Si sa, lo sapevo persino io già prima di leggerlo. In verità, Gregor si sveglia esaurito dalla fatica, dal lavoro, dal troppo fare (sindrome da Burnout?). Lo scarafaggio è la metafora del corpo che si rifiuta di alzarsi dal letto per andare a lavorare, non ce la fa proprio. Vorrebbe, ma non ci riesce…
La breve storia si svolge tutta negli spazi della casa, dalla camera al salotto. Quando sorella, padre e soprattutto madre si accorgono della trasformazione di Gregor subiscono più reazioni: in tutti il ribrezzo che li induce a respingerne almeno la vista; poi c’è la sofferenza, l’incomprensione, l’accudimento forzato, il tentativo di convivenza, la mancanza di ciò che era, compreso il supporto economico. In buona sostanza i ruoli si invertono: non è più lui a curarsi di loro, ma viceversa; anzi, alla fine, per dirla bene, è lui che pesa su di loro. Da una parte ciò porta a una maggiore autoconsapevolezza del vivere e degli sforzi che servono per farlo, nei genitori e nella sorella di Gregor, dall’altra c’è lo stesso Gregor che deve riappropriarsi di una certa padronanza del suo corpo, della sua nuova dimensione. Portata all’estremo, la convivenza tra umani e scarafaggio finirà con una forma di distruzione, finanche autodistruzione.
OLTRELATRAMA
Ho già anticipato l’evidente ruolo della metafora, e anche di quanto sia attuale il tema dell’emarginazione del diverso. Molto spesso mi sento dire – con molta minor cautela di quanta ne viene adottata da chi tenta di esprimere un giudizio razzista, il che mi lascia intendere quanto si sentano legittimati a pensarla in quel modo – frasi del tipo: “È un drogato di merda”; “Ma quello è un tossico!”; “Quello? Ma per favore: lo manteniamo noi, è un drogato. Altro che dargli da mangiare, gli servirebbe un calcio nel culo”. Ecco, se usassi paragoni come “barboni”, “gay”, “malati di AIDS”, “straniero di colore”, ecc…, so che mi faciliterei di molto il lavoro. Perché “tutti” difendono certe “emarginazioni”, ma ve ne sono alcune che invece pare mettano d’accordo tutti nell’agire l’emarginazione stessa. Ma capita anche con “i brutti”, “gli stupidi, o ritenuti tali”, “gli sfigati”… ce ne sono tantissimi che rischiano sempre molto facilmente di venir emarginati. Ecco perché è molto commovente. Gli scarafaggi non piacciono (quasi) a nessuno e nessuno – nemmeno i parenti più stretti che tanto li amano quando sono piccini e pieni di potenziale – li difendono. Anzi, più facilmente si trovano buone ragioni per accusarli, loro malgrado.
Commovente. Lo ripeto. E quel che è peggio è che in un angolino del mio cervello penso che purtroppo: “Quasi certamente molti di quelli che oggi leggono questo libro staranno dalla parte dei genitori e della sorella…!”