Un libro sulla colpa e sul limite

«Pastorale americana» di Philip Roth

Un paio di minuti dopo aver finito un libro, di regola, mi metto a scrivere la nota che si srotola senza quasi pensarci. Mi ritrovo così a digitarla su telefonino e pubblicarla su fb senza nemmeno rileggere. Ho finito il romanzo “Pastorale americana” di Philip Roth già ieri. Ci ho dormito su la notte. Ci ho ragionato questa mattina e sono ancora restia a dire quello che penso. A fermare quello che penso. E questo credo sia già un grande risultato. L’ho vissuto come un libro sul tema della colpa, direi quasi sull’origine della colpa, e del superamento dei limiti: in buona sostanza per me è un libro che esplora o rivisita il peccato originale. E sembra dire: nell’accogliere il cambiamento o l’abbattimento di un valore morale o etico o sociale dove si pone il nuovo limite?

LA TRAMA (impossibile non spoilerare)
Nathan Zuckerman, narratore personaggio, si ritrova alla 45esima rimpatriata scolastica, dove ritrova Jerry, fratello del “mitico” Seymour Levov, soprannominato “Lo svedese”, che spopolava perché spiccava in più sport. Insomma, era il figo della situazione, che finì per sposare una reginetta di bellezza, certa Dawn Dwyer; lui, di famiglia ebraica, lei, cattolica. 
Zuckermann si ritrova a vagare tra i suoi ricordi, inizialmente quelli che gli rimandano l’immagine dello svedese riflesso sulla superficie di uno specchio rimasto integro per tanti anni, seppur bugiardo. Poi però affonda lo sguardo, sgretolando l’immagine perfetta di un passato che pare non combaciare con la realtà. E lo fa quando capisce da Jerry che lo svedese era ben altro. La vera storia è di fatto quella di Seymour Levov, della sua prima moglie Dawn, di suo padre, fabbricante di guanti di pelle, e soprattutto di sua figlia Merry, che ne subisce di tutti i colori, dopo un primo gesto troppo intimo del padre nei suoi confronti che sposta la prima asticella, di poco, ma la sposta. La frantumazione di quel primo limite pare scatenare il caos perché un limite successivo pare non essere più possibile stabilirlo. E così vale per tutti i personaggi. La ragazzina sbiella e alla fine si immola al fronte dell’estrema sinistra dei Weathermen. Siamo in America, a Newark, nel New Jersey. Anni Settanta. La velocità con cui tutto trascende è da una parte lentissima, dall’altra incontrastabile. La ragazza diventa infatti dinamitarda e di conseguenza assassina: farà esplodere un ufficio postale uccidendo una persona, ma non sarà l’unico cadavere che resterà sulle coscienze di chi non riuscirà a fermarla, ciò che genererà grandi sensi di impotenza, ma anche di colpa (sebbene in parte rifiutata).

FUORIDALLATRAMA
È stato come trovarmi di fronte a un gigantesco specchio frantumato. Lo stile, e la struttura, con cui è stato scritto questo libro è psichedelico, cioè: leggerlo è come farsi continuamente colpire il cervello da flash che arrivano da ogni direzione: dal passato, dal presente, da un ricordo, da un articolo di giornale, da un racconto, da un dialogo. È come se la storia, le sue ambientazioni, tra prolessi e analessi, le vite dei suoi personaggi, gli eventi eccetera fossero stati mixati e poi fatti rimbalzare sulle schegge dello specchio, anzi degli specchi. Ogni specchio uno scorcio diverso e spezzettato. Ecco, sì, credo abbia puntato al massimo della complicatezza. Ma la magia che è riuscito ad agire Roth sta nel fatto che – nonostante tutto – è riuscito a non confondere. Certo, all’inizio bisogna farci l’abitudine, ma sono così incisivi quei frammenti di immagini che, anche se parziali, riconosci subito dove aggiungere i pezzi che infine completeranno (ripareranno? No!) lo specchio reale delle varie situazioni, che non sono solo storie, ma appunto anche solo “fermoimmagini”; Roth, riesce infatti a tenere tesi tutti i fili narrativi, facendoli diventare sempre più chiari man mano che si prosegue nella lettura. Ciononostante fa mancare il fiato quando poi si lancia in ripetizioni ossessive, rappresentando la pazzia di Merry, l’incredulità del padre, il legame alla tradizione delle religioni, la depressione della madre e l’orgoglio imprenditoriale del nonno, con sbalzi narrativi che sembrano guanti cuciti su misura proprio per mostrarli al meglio. E ci riesce.
È un po’ Coscienza di Zeno con un miliardo di micro eventi, e ambientazioni, e spaesamenti, e provocazioni, e questioni aperte su facciate diverse di medesime esistenze, e… E il tutto con uno sfondo sociale molto ricco che fa da cornice al romanzo intero, in modo davvero ampio, dove vengono sfiorati economia, politica, cultura, ceti, sogni, apparenze… Ma è anche – come dicevo – psichedelico come Il Maestro e Margherita di Bulgakow, un po’, solo che a Roth la magia di non confondere è riuscita. 
Non so che cosa Philip Roth volesse dire davvero con questo libro. Non lo dice in modo chiaro. Espone “solo” una storia fatta di storie, toccando estremi sia da una parte sia dall’altra, per cui tocca poi al lettore cogliere quel che gliene viene. A me è arrivato forte il messaggio sulla colpa originale e di conseguenza del limite superato di cui – sempre – è difficile capire dove porre quello nuovo. Così la vita sulla terra dopo la scacciata dall’Eden… Difficile essere “giusti”.
Ammetto che questo è uno dei “mie temi”, quello dei limiti che dopo averli superati ti fanno correre il rischio di non trovarne di nuovi. Ho tantissimi esempi in merito. Uno che faccio spesso quando tratto questo tema è il seguente: ho avuto fortuna di conoscere un paio di giapponesi, una ragazza qui da noi e un ragazzo in California. La loro cultura è molto diversa dalla nostra, soprattutto in quel che è il rapporto corpo-a-corpo. Bene, racconto spesso che in un’occasione, la ragazza che a suo tempo conoscevo da poco – era appena arrivata – salutandomi mi diede i bacini, mi strinse la mano e già che c’era mi fece rimbalzare le tette sorridendo come se fosse un gesto carino di confidenza amicale. 
Per dire: se tradisco una volta, chi mi impedisce di farlo altre mille volte? Se rubo una caramella chi mi impedisce di rubare un’auto? Se provo una trasgressione, chi mi impedisce di eccedere? Se non sono tollerante con il prossimo, che cosa mi impedisce di diventare un’estremista, o una razzista?…

INFINE
Mi resta una riflessione off topic: negli ultimi anni ho letto diversi libri e – stranamente – molti citano anche solo per caso la Svizzera (ne’ I miserabili, pure; nel romanzo Conforme alla gloria; in questa Pastorale americana; nel libro Se questo è un uomo; ma solo per citarne un paio…). Ebbene sono pentita di non aver preso nota delle volte che la Svizzera entra nelle narrazioni per capire quel che Europa e Mondo pensa di noi. Anche perché ho notato che di solito viene citata con punte di astio, sarcasmo, o peggio ancora con un tocco di derisione…

CITAZIONI
– “La sala operatoria ti trasforma in una persona che non sbaglia mai,… è come scrivere, più o meno. Scrivere ti trasforma in una persona che sbaglia sempre. La perversione che ti spinge a continuare è l’illusione che un giorno, forse, l’imbroccherai” .
– “Capire bene la gente non è vivere, vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e dopo un attento esame ancora male, ecco come sappiamo di essere vivi, sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita ma, se ci riuscite, siete fortunati.”

EXTRA
Da un’intervista televisiva. 
Il giornalista chiede a Philip Roth: quale pensa sia il ruolo dello scrittore?
PR: scrivere meglio che puoi e basta. Non hai responsabilità verso nessuno, ne hai verso la letteratura, una delle grandi cause perse dell’umanità (…) e come puoi essere all’altezza di tale responsabilità? Donandoti alla scrittura con tutto te stesso.
G: Che cosa può fare la letteratura?
PR: molto poco (sorride), davvero poco. Non può fare molto, tuttavia ha un’importanza notevole; è una cosa inutile ma di grande importanza.

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