Urca! Che “genio”! Che voce!

«La bella di Lodi» di Alberto Arbasino

Che narratore! Bello bello bello! Che quasi mi sento un poco innamorata, poco, eh, ma che bella lettura.

Parlo de “La bella di Lodi” di Alberto Arbasino, un libro prestatomi da un’amica che ringrazio tanto tanto. Ma proprio tanto.

L’ho letto pure in fretta. È così colloquiale e di casa, e senza pretese ma tanto raffinato nonostante la grettezza di personaggi, storia, espressioni, ambiente. È tutto così famigliare e riconoscibile e materialmente umana questa vicenda che solo una voce come quella usata poteva rendere così bene. 

E a tal proposito, questo libro mi permette anche di fare un complimento di ritorno a Roberto Camurri, di cui ho scritto recentemente una nota di lettura in merito al suo “A misura d’uomo”: avessi letto prima “La bella di Lodi” credo che ci avrei riconosciuto un po’ la voce; senza inflessioni dialettali, con personaggi meno forti e una compattezza della storia meno evidente, e anche leggermente meno naturale, forse, e l’ambientazione non così palpabile, eccetera eccetera, ma sta di fatto che qualcosa mi ha portata ad accumunare i due autori: come se Camurri potesse discendere in un qualche modo da Arbasino. E secondo me è un grande complimento. Se invece vi pare una cazzata, peggio per me che ormai l’ho detta 😊

IL NARRATORE
Dicevo della voce, ovvero del narratore che è incredibile. Discreto e umile. Perché c’è, lo si capisce subito, ma si propone solo come testimone casuale. Non conosce i veri sentimenti interiori dei personaggi e non prova neanche a immaginarli. E se proprio gli viene di farlo ti fa capire che non ne è mica certo. Descrive solo quel che vede lasciando capire sin da subito che ignora molte cose. Non è un onnisciente. Non è nemmeno un commentatore opinionista. È solo un reporter, un cronista, uno che riporta spezzoni di storie o di vicende come fosse cronaca. Senza apparentemente inventare nulla. (Questo il naturismo, per me). E lo fa immergendoti nel clima Lombardo e periferico grazie alla lingua che usa, alla voce, alla musicalità della cadenza delle immagini. Al colore di molti dialettismi. Questa la voce, mentre di lui personaggio testimone in verità si sa quasi niente, forse lo si può indovinare verso le ultime pagine, quando due o tre volte si fa io narrante interno, ma poi esce subito in punta di piedi. C’è ma non resta a prendersi gli applausi.

TRAMA E OLTRELATRAMA
La storia? Ecco qui potrei dire machissenefrega, è così bello com’è scritto… ma invece no. Non ha senso parlare solo di lingua o solo di forma o solo di contenuto: un buon libro conta su tutti e tre gli aspetti, come dico io e prima di me mille altri. Dunque? Potrei dire che è “banale” o “semplice” e invece no. Cioè sì, lo è, ma grazie al modo in cui viene raccontata oserei dire che è piena di colpi di scena, e per ottenere un simile risultato, Arbasino ci è riuscito proprio solo grazie al narratore che, come ho detto, mica le sa tutte e se le sa non ce le dice subito perché son cose che lui sa già da sempre e non gli interessa fare il cantastorie ma solo riportare le vicende della Bella di Lodi. E regge benissimo, così quando prima pensi che lo sconosciuto sia il futuro marito, poi capisci che invece era una storia occasionale quasi un tradimento, mentre solo dopo capisci che invece no, quello che credevi fosse il marito è solo il fratello, ma geloso… e poi più avanti quando pensi che è morto ma poi non lo è, e lo sapeva già il narratore, e via: resti lì inchiodata a cercare di far chiarezza, di capire gli intrighi, e sciogliere i dubbi, e a lasciarti sorprendere. Motivo per cui non scriverò la trama, in questo caso. Mi limito a dire che Roberta, una borghesotta benestante, si innamora pazzamente e passionalmente di un certo Franco, un meccanico rude e maschilista, un po’ “cazzone”. Ed ho già detto sin troppo.

CURISITÀ
Pubblicato nel 1972, Arbasino in questo romanzo è riuscito ad anticipare Facebook di quasi quarant’anni, quando scrive: “E lei, tanto baciata e tanto presa per il culo da tutti: “adorata“ di qua, “guittaccia porca” di là, baciamano, Settecento, social kisses, toast…” cioè, ha scritto davvero “social kisses” che ha tutta l’aria dei cuoricini di facciata lasciati qua e là per convenienza e opportunismo a post o commenti acchiappamipiace. Era un genio! Punto.

CITAZIONI
– “… veramente questo povero scoreggione può anche aver passato dei mesi ossessionato dall’immagine di quella bambinaccia belloccia e chic, forte di carattere e svelta di coscia, decisa semplicemente di pigliarsi le cose che le vanno; e in fondo deve essere rimasto colpito anche da più di un flash di vita ricca, o perlomeno agiata, che lui non conosce, e magari non la invidia neanche coscientemente, però in fondo avvertirà un certo fascino, chissà, in qualche sapore insolito della pelle della Roberta, di profumi e saponi che usa lei, di vestiti, di maniere di fare, chi lo sa…”

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