Una valanga di parole

«La morte a Venezia» di Thomas Mann

“Quell’impronta di gioia che è a sua volta fonte di gioia per coloro che amano le opere d’arte più di qualsiasi contenuto interiore e più di ogni pregio per eminente che sia”

Mi è rimasta addosso una valanga di parole. Ho letto il lungo racconto “La morte a Venezia” di Thomas Mann. Non sono certa di aver capito tutto, la storia sì, ma tutte quelle parole che ha usato per descriverla, non so. Se non che me l’hanno ovattata invece di rendermela vivida. Ho come la percezione di aver guardato accadere cose attraverso una fitta nebbia. Come se tutte quelle parole avessero avuto lo scopo di offuscare invece che chiarire.

LA TRAMA
Un vecchio autore (etero, fin lì, e pure vedovo) parte per Venezia. Qui si piglia una scuffia micidiale per un polacco che pare ‘na statua greca, lo dice lui, non io. Ovviamente il primo è vecchio e morente (ha problemi di cuore), il secondo giovane e in vacanza. Per farla breve, l’autore si trova a osservare il giovane, a seguirlo in mezzo all’afa estiva e a un’epidemia (il colera, se mi ricordo bene), lo guarda, lo fissa, lo descrive, lo immagina e alla fine non può che ammettere di essersene innamorato. In un paio di occasioni si scambiano un paio di sguardi o almeno così pare al vecchio autore che comincia a pensare di essere ricambiato, e intanto si vede sempre più decadente e non meritevole. Cerca pure di ringalluzzirsi un pochetto tingendosi i capelli ma poi non avrà mai Il coraggio di farsi avanti. Come va a finire mi pare ovvio.

OLTRELATRAMA
Qual è l’opposto del naturismo? Sono correnti, movimenti culturali che non conosco, ma sto poco a poco imparando da me. Non so quale sia l’opposto ma so di aver letto una scrittura così piena di retorica, di descrizioni, aggettivata, artificiosa che mi ha fatto pensare al Barocco. Un genere che a me pare esprimere pienezza, ampollosità e che può essere tenebrosa e incantata allo stesso momento (forse mi sbaglio). Così tanto retorico che dovrei dire, che no, non fa per me. Eppure… oddio, preferisco sempre farne senza, ma qui, in questo racconto ha fatto il suo gioco. Forse, senza, non mi sarebbe rimasto impresso questo impasto trasognato misto a immaginario da incubo o funereo. Come se la contraddizione tra vivo e morto, giovane e vecchio, bello e brutto, Mann, ecco, è come se non distanziasse queste dicotomie ma le mescolasse a forza, creando un impasto possibile, nonostante tutto, almeno in quei momenti sospesi tra realtà e desiderio. 
Non so se mi è piaciuto, ma porca miseria mi è rimasto appiccicato addosso.

Tadzio come Dorian Gray

IL FILM

Dopo il breve romanzo, ho guardato anche l’omonimo film: «La morte a Venezia» di Visconti. E grazie a questo, mi pare di aver avuto come un’epifania. Ho visto la sovrapposizione di due immagini: Tazio come Dorian. Sovrapposizione, anche per le storie. Anche il tema, l’arte, la bellezza, la forza della giovinezza, dei giovinetti, la decadenza della vecchiaia. Il confronto dei due artisti.

Non l’avevo capito durante la lettura. Solo il film mi ha colpito tanto da rievocare il romanzo di Oscar Wilde, Dorian Gray, e non è un demerito. Anzi! Mi è piaciuto molto. Forse un filo troppo tutto quanto sofferto, e vorrei dire per troppo carica retorica, e invece così è anche il romanzo di Mann, e forse, anzi senza forse, anche certi amori.

È così, e molto è dovuto alla bellezza, quella bellezza quasi effeminata, quella di Tadzio. Proprio come mi ero immaginata dovesse essere quella di Dorian Gray. Un’estetica che a dire il vero io stento a esaltare perché non è per niente il genere di bellezza che a me interessa in un uomo, manco se giovane. Capisco però la scelta del regista visto l’intrigo amoroso mica neanche sottaciuto. E parlo proprio di corpo che ha poco che fare con l’anima la quale di fatto non viene data dalla pellicola e manco dal libro a dirla tutta.

La bellezza di Tadzio: una forma di estetica androgina, dove la bellezza così come la giovinezza può lasciare intendere anche una sorta di purezza (che “giustamente” nel film viene più volte sporcata, nei giochi dei corpi). Resta tuttavia una bellezza quasi asessuata da un punto di vista erotico, eppure l’anziano compositore ne resta innamorato, non solo affascinato… Ambiguità che mette perfettamente in azione la macchina narrativa, e che espone nel concreto la dicotomia oggetto di discussione dei due uomini su questioni di arte e moralità. Questo sì. Non fosse stato scelto un Tadzio così, non avrebbe funzionato. Bello ma non maschio, effeminato ma rude nei giochi, candido e biondo ma sporco di sabbia e alghe, puro nella sua educazione e giovinezza ma anche provocatore, asessuato che fa innamorare, la bellezza pura che porta in sé la sporcizia della tentazione e di chissà quante altre cose. Un bello non bello. Un uomo non uomo. Una perfezione imperfetta. Arte. È così perfetto Tadzio che fossi stata Visconti gli avrei fatto girare anche Dorian Gray.

Una nota di “colore”: ho memorizzato il film come fosse girato in bianco e nero; rivendendo per un riavvio che era a colori, mi sono sorpresa da sola. Ragionandoci concludo che è un ulteriore tocco da maestro essere riuscito a far scomparire i colori in questa pellicola. Ha qualcosa di magico: ammetto di preferire il film al libro. E forse è la prima volta che mi capita (anche se ho poca esperienza).

4 pensieri su “Una valanga di parole

  1. Ciao MaMa. Se vuoi approfondire il romanzo non puoi evitare quel grande capolavoro di Luchino Visconti, del 1971, con un Mahler grandioso, una fotografia stupefacente e una regia magistrale. Senza scordare Aschenbach/Dirk Bogarde e Marisa Berenson. Vale la pena, mano sul fuoco!

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    1. Ci credi se ti dico che c’è l’ho pronto da vedere? Ho già fatto scorrere l’incipit del dvd e sono certissima di concordare con te: il clima ricreato anche solo nei primi fotogrammi mi ha riportato subito nell’ambientazione del romanzo. Un abbraccio grande! Ma.Ma.

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