Basta dire: Bianco

«Bianco» di Laura Pugno

Be’, l’ho letto e – lo ammetto – ho pianto un paio di volte. Non mi interessa se questo era negli intenti dell’autrice. E di certo le immaginazioni che queste pagine hanno creato in me non coincideranno nemmeno lontanamente con quelle descritte o immaginate dalla Pugno. Ma anche questo – con rispetto parlando – mi interessa poco. Mi interessa solo riportare la mia “esperienza di lettura”.

Anzitutto, secondo me, è da leggere (e rilegge) dall’inizio alla fine in un momento solo. Cioè. So (per sentito dire) che la poesia dovrebbe essere centellinata… che ne so, letta e assaporata lentamente. Ma più leggevo “bianco” e più mi è parso d’obbligo lasciarmi trascinare all’interno di quella bolla che a me è parsa non un insieme di strofe, di momenti, ma proprio solo Una strofa, una riga. Una poesia. Una parola. Che si riassume perfettamente nel titolo: bianco. Come “niente” come “vuoto” come “mancanza” come “assenza”. Sì, l’ho vista e sentita chiaramente la natura. Ma è l’unica cosa che posso immaginare come esistente a sé stante, senza il bisogno della presenza del genere umano. Per cui tutta quella natura, nella mia testa, ha creato solo un’altra gigantesca assenza. 
Quindi “mancanza” nei massimi sistemi, ma anche “mancanza” nei minimi sistemi. L’uomo come genere umano che non infierisce più, che è stato cancellato dalla neve, dal foglio tornato bianco, e l’uomo più personale, affettivo: non so come, o forse sì (magari per una proiezione personale), ma ci ho visto anche la mancanza di un figlio (“La voce che potrebbe chiamare dall’altra stanza,/ se solo, //” … “Nessuno è sceso sulle piste,/”); e poi la mancanza di un genitore o di un avo passato a miglior vita, l’assenza della vita (“le loro mani sono passate nelle tue, i loro capelli”); e manca l’amore, persino l’amore manca, sì, (“se è questo, la risposta,/non è parola, è nelle braccia // strette intorno al corpo, nel / vederti andare); mancano tutti e manca tutto (“bianco ininterrotto,/quello che non hai visto acceca ancora”).
Insomma manca chi non è nato, manca chi è morto (“l’erba è poca sui tuoi morti”) poi resti solo o sola e nel mezzo il nulla e il freddo. La natura che vive da sé. Corpo, corpi, e pelle, pelli, come cose. Che non si salvano comunque dall’essere poi cancellati come le vite che avrebbero dovuto ospitare. L’Eden non ci appartiene più/ancora, forse mai. E allora ben venga la neve: che cancelli tutto, e subito, e per bene. Certe volte. 
Lo rileggerò.

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