«Giuda» di Amos Oz

Dovrebbe essere un libro sul tradimento, dato il titolo: «Giuda». Parlo del romanzo di Amos Oz, uscito nel 2014 per Feltrinelli. Ma a me è parso piuttosto un libro sulla solitudine. Anzi, di più: sull’abbandono, e pure peggio: è un libro sull’esclusione. Dove tutti i personaggi sembrano dei superstiti, che sia un popolo intero, o un vecchio di cui non curarsi più. Che siano in fuga, o rinchiusi in quattro mura. Giuda compreso. È un libro che incuriosisce, fa riflettere, e produce piccole scosse di dissesto, lasciando al lettore il compito di ricomporre i pensieri alla fine e anche dopo, e chissà per quanto. Un romanzo, in somma, che fa il suo dovere e lo fa per la narrazione, per gli stimoli e anche per lo stile asciutto, che si fa leggere senza intoppi. Liscio ma non banale, tanto che mantiene una gran bella tensione narrativa per tutta la lettura.
LA TRAMA
Siamo alla fine degli anni Cinquanta a Gerusalemme, e un giovanotto universitario molla tutto per motivi suoi, economici e sentimentali, soprattutto. In cambio di una stanza gratuita e di uno stipendio minimo, accetta di tenere compagnia a un anziano disabile molto colto, con il quale dovrà perlopiù chiacchierare durante i pomeriggi. Con loro vive una donna, Atalia, intrigante e abbastanza introversa da incuriosire non solo Shemuel (questo il nome dell’universitario dimesso), ma anche i lettori. È forse il personaggio più interessante, proprio perché si svela molto lentamente.
Tre i movimenti principali: emotivo, verso Atalia; dialogico, verso il vecchio; muto, verso il mondo, verso la famiglia. Sullo sfondo le questioni arabo-ebraiche.
OLTRELATRAMA
Della solitudine ho già detto. Parlerò dunque del tradimento, o di un supposto tale.
Sono tante le domande che tengono incollati alle pagine, gli occhi dei curiosi, anche se partono da un presupposto che sembra essere sempre quello sbagliato. Una su tutte quella che viene spontanea leggendo il titolo del libro: Giuda. Sono certa che ogni cristiano partirà per forza con il pensiero che Giuda sia il traditore per antonomasia. Mentre il testo metterà in risalto l’esatto opposto: “La figura di Gesù in una prospettiva ebraica” è di fatto la ricerca su cui si è fissato il protagonista, e la vera questione di questo libro. Una questione che trova in ogni contesto parallelo una dimensione riflettente: sono chiamati traditori coloro che più hanno avuto passione e hanno di più amato. Il padre di Atalia, verso il suo paese che lo escluse perché “voleva salvarlo dalla guerra”; il compagno di Atalia, morto in guerra; la famiglia di Shemuel; e Shemuel stesso risulterà essere l’incarnazione di Giuda, quel Giuda che secondo lui ha “tradito” Gesù non per danaro ma perché ci credeva troppo, per troppa fede, perché era lui ad averglielo chiesto, perché lui era sicuro che Dio-padre l’avrebbe salvato dalla morte, cosa che invece non ha fatto (è dunque Giuda, il vero tradito?). (SPOILER) Shemuel è come lui, giacché per l’intero romanzo non ha occhi e pensieri e desideri che non riguardino Atalia, vorrebbe stare per sempre con lei, conquistarla, amarla, la desidera, e viene messo in guardia tantissime volte dal vecchio: non ti innamorare di lei! Finirà male. Lei usa le persone come te, più per pietà che per altro. E persino lei stessa a un certo punto gli dirà, siete tutti uguali, mi fate pena, non ho amore da dare, ma pure dice a un tratto – ricorda al lettore in un certo senso quel disse Gesù all’ultima cena (uno di voi mi tradirà) – Atalia dice a Shemuel: te ne andrai come hanno fatto tutti gli altri (e non allude, secondo me, solo ai ragazzi assoldati prima di lui, ma anche al giovane che amava ed è morto in guerra, e pura a suo padre). E infatti, anche se lei continua a mantenere un apparente distacco a parole, lei si dà, si dedica a lui che poco a poco sembra convincerla di quanto ne è innamorato; e riesce così a farsi amare e accudire quasi più di quanto non sia in grado di fare lui, che, persuaso di non poterla avere, nonostante la gigantesca passione che prova, proprio lui deciderà di andarsene, e di lasciare sola lei, e solo il vecchio, sentendosi però non traditore, ma tradito. Tradito dalle sue aspettative non realizzate. Senza pentimenti, e pronto ad andare oltre.
È un libro sul tradimento, dunque? Non lo so, mi verrebbe da dire che è un libro sul non tradimento, cioè sulla non volontarietà del tradimento, sul tradimento frainteso, sul tradimento inteso dagli altri, ma non da chi lo agisce. Su un tradimento che non può essere condannato.
Un’ultima considerazione. Non è la prima volta che mi capita (spendo un paio di righe più personali). Dicevo, che mi capita di finire per leggere un libro per caso (era lì, ho visto il nome dell’autore, mi sono detta, boh, dicono sia bravo e non ho mai letto nulla di suo, prendiamolo, sia quel che sia: non ho guardato nemmeno la trama).
Dicevo, che mi capita di finire a leggere un libro per caso che corrisponde esattamente a qualcosa che mi sono messa in testa di fare, tanto che l’ho già iniziato a fare – in parte. E non è un problema, ma anzi, la prendo come una sincronicità (direbbe una mia amica), un segno (direbbe un mio amico), una legittimazione a continuare quel che sto facendo, dico io.
CITAZIONE:
“L’uomo, ha scritto Immanuel Kant, è in fondo solo un ciocco di legno storto. Guai a cercare di drizzarlo, perché ci si ritrova nel sangue fino al collo.”
Grazie, mii é piaciuto molto l’articolo, in fondo non é un argomento facile, é un po’ tabu’. Mi era piaciuto molto “D’un tratto nel folto del bosco” e “D’amore e d’ombra” e naturalmente “Una pantera in cantina”, sono pochi i suoi libri che non mi sono piaciuti.
Mi é piaciuta meno la citazione di Kant. Laura Ciocco:-)
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Grazie. Sì, il tema è difficile e in verità di Amos Oz ho letto solo questo. Mi rimetterò a giorno, poco a poco, anche con gli altri suoi. La citazione, spero si capisca, non è una mia scelta deliberata presa a caso dall’esterno, ma dall’interno. Cioè si tratta di una citazione nella citazione: l’ho riportata dal libro stesso, perché a scriverne è narratore interno, e mi aveva colpita.
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