«Il mondo vivente» di Giulio Mozzi
È tanto tanto tanto bello. Tra i libri che ho amato di più leggere. Ci ho ragionato molto su “Il mondo vivente” (GiallaOro – PordenoneLegge / LietoColle) di Giulio Mozzi, ci ho pensato come al libro di un autore sia come al libro di un amico (se posso permettermi di dire una cosa privata in pubblico). Libro che non contiene finzione. È memoria. È storia personale. Mi ha ricordato quello che pensai all’inizio con “Parole private dette in pubblico” ma da dentro casa, e non solo come “conversazioni sullo scrivere”. Mi sono chiesta perché “scoprirsi” tanto? E il perché era tutto lì nell’opera: c’è l’uomo ma anche lo scrittore e dunque è diritto di tutti, anche non sentire o sentire quello che gli andrà di sentire. Che ce n’è di roba da sentire.
È pieno di poesia senza essere poetico. C’è traccia di un vuoto ma anche di un pieno, come quando i bambini hanno da una parte una scatola coi buchi geometrici diversi e le figure geometriche separate, e fanno fatica a mettere i pezzi nei buchi giusti e forse si divertono di più a rovesciare tutto per capire il senso delle cose, guardandole da fuori, ché dentro s’ammucchiano tutti e fanno solo tanto rumore. Un gioco di bambino fatto da grande, con riflessioni molto belle, che un po’ possono spiazzare chi sa poco. Ma fanno gioco.
E poi c’è un sacco gigantesco pieno di amore. E di dolcezza. E… niente: di amore, sì tanto amore. Tantissimo. E cavoli, non c’è da fare, con l’amore ci sta sempre un sacco di male anche. Ma questa volta è superato dall’amore. Forse è il primo testo di Giulio (che è uno solo anche se fatto a pezzi geometrici ridistribuiti) in cui l’amore supera il male, nonostante.Sta tutto nell’opera: stimo Giulio per il coraggio ma di più per aver reso cose private oggetti “artistici”. È questo il segreto di quest’opera. Mi è capitato poche volte, con altri libri, ma di questo ogni tanto mi tornano in mente parti e anche l’insieme.
Dicevo, mi capita poche volte con i libri o altre cose, che mi restino dentro la testa come qualcosa di piacevole a cui tornare. È commovente ma con pochissima malinconia. Ha un’andatura riconoscibile: che inizia tiene e finisce in un ritmo unico. Un ritmo che resta e torna e ritorna.